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Autore: Ferronato Francesco 30 ottobre 2023
Il Gestore dei servizi energetici (Gse), dovrà trasmettere i dati relativi ai proventi corrisposti al responsabile dell'impianto, persona fisica, che ha optato per la vendita dell'energia prodotta dal suo impianto fotovoltaico. In altre parole, i redditi del fotovoltaico entrano nella dichiarazione precompilata. E’ ciò che prevede l'articolo 20 della bozza di decreto delegato sugli adempimenti tributari, approvata in via preliminare dal Consiglio dei Ministri lo scorso 23 ottobre. La dichiarazione dei redditi precompilata viene alimentata sulla base di numerose informazioni che permettono all'Amministrazione finanziaria di elaborarne la versione da sottoporre al contribuente che, in caso di accettazione, beneficierà dei vantaggi previsti in termini di controlli. La novità in commento, prevede che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze saranno definiti i termini e le modalità per trasmettere all'Agenzia delle Entrate, oltre ai dati relativi alle spese detraibili e deducibili, anche i dati relativi ai corrispettivi da fotovoltaico percepiti dai contribuenti, da indicare nella dichiarazione dei redditi. Infatti Il D.lgs. 21 novembre 2014, n. 175, dispone che, a decorrere dal 2015, l'Agenzia delle Entrate, utilizzando le informazioni disponibili in Anagrafe tributaria e i dati trasmessi da parte di soggetti terzi e i dati contenuti nelle certificazioni trasmesse dai sostituti d'imposta, mette a disposizione dei contribuenti, entro il 30 aprile di ciascun anno, la dichiarazione dei redditi precompilata. E così il Gestore dei servizi energetici spa (Gse) trasmetterà i dati relativi ai proventi corrisposti al responsabile dell'impianto, persona fisica, che ha optato per la vendita dell'energia prodotta dal suo impianto fotovoltaico, risultata eccedente rispetto ai propri consumi energetici (in pratica gli incassi percepiti dalla cessione delle eccedenze energetiche rispetto all’auto-consumo). L'autoconsumo consiste nella possibilità di consumare in loco - nella propria abitazione, in un ufficio, in uno stabilimento produttivo, ecc. - l'energia elettrica prodotta dall'impianto a fonte rinnovabile per far fronte ai propri fabbisogni energetici. Produrre e consumare l’energia elettrica prodotta da propri impianti alimentati da energia rinnovabile significa contribuire concretamente alla transizione energetica e allo sviluppo sostenibile del Paese, favorendo l'efficienza energetica e promuovendo lo sviluppo delle fonti rinnovabili. E’ un “mondo” in particolare fermento sia dal punto di vista dell’evoluzione tecnologica sia per le forme giuridiche e contrattuali nascenti. I clienti finali, consumatori di energia elettrica, possono oggi associarsi in “comunità” energetiche per produrre localmente, tramite fonti rinnovabili, l'energia elettrica necessaria al proprio fabbisogno, "condividendola". L'energia elettrica "condivisa". Un cittadino, un condominio, un'impresa, un Gruppo di autoconsumatori o una Comunità di energia che scelga di autoconsumare o condividere l'energia elettrica prodotta da un impianto fotovoltaico accede ad una serie di vantaggi economici e ambientali: • risparmio in bolletta: più energia si autoconsuma e più si riducono i costi delle componenti variabili della bolletta (quota energia, oneri di rete e relative imposte quali accise e Iva); • agevolazioni fiscali per impianti fotovoltaici (detrazioni): per i privati la realizzazione di un impianto fotovoltaico sul tetto di un edificio rientra nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia, previsti dall'Agenzia delle Entrate, per l'accesso alle agevolazioni fiscali. È infatti possibile detrarre dall'lrpef il 50% dei costi di realizzazione nel caso di ristrutturazione edilizia o il 90% nel caso di accesso al c.d. "Superecobonus"; • contributo concreto al contenimento dei fattori inquinanti e dell’utilizzo dei combustibili fossili agevolando fattivamente la transizione energetica; • minore impatto sulle reti di distribuzione mitigando le criticità connesse alle immissioni incontrollate da parte dei generatori fotovoltaici; • per le imprese, la possibilità di contenere i consumi elettrici provenienti da fonti non rinnovabili e inquinanti con miglioramento dei ratings ambientali e ESG oggi sempre più al centro dell’attenzione degli stakeholders e degli istituti di credito. Il passo successivo sarà quello di trovare sistemi tecnologici all’avanguardia che permettano di non immettere in rete nemmeno le eccedenze gli “autoconsumi comunitari”. Passi concreti si stanno già attuando e tecnologie e modalità operative innovative si stanno affacciando sul mercato.
Autore: Ferronato Francesco 20 ottobre 2023
Un recente intervento della Suprema Corte (ordinanza n. 27692 del 25.09.2023) riporta l’attenzione su di una fattispecie che si verifica spesso tra gli utenti bancari e finanziari, ossia la mancata stipula senza un giustificato motivo di un contratto di finanziamento da parte dell’istituto di credito, nonostante le trattative tra le parti siano giunte ad uno stadio avanzato. Nella specie, i giudici di legittimità si sono pronunciati riguardo le censure mosse ad un provvedimento della Corte d’Appello di Firenze che aveva confermato integralmente la sentenza con cui il Tribunale di Livorno aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta nei confronti della Banca «per la prospettata responsabilità precontrattuale per la mancata stipula di un contratto di mutuo, nonostante le trattative fossero giunte ad uno stadio avanzato, sia per la prospettata responsabilità extracontrattuale da errata segnalazione in Centrale rischi, che aveva precluso alla società attrice ulteriori finanziamenti bancari». Accoglie il ricorso dell’utente bancario la Sprema Corte dando concreta applicazione, anche nell’ambito dei rapporti bancari, al principio generale stabilito dall’art. 1337 c.c., il quale dispone che «le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede». Nell’ordinanza vengono richiamati i principi (già tra l’altro espressi in precedenti pronunce) per i quali «la responsabilità precontrattuale per violazione dell’art. 1337 cod. civ. presuppone anzitutto che tra le parti siano intercorse trattative giunte ad uno stadio tale da giustificare oggettivamente l’affidamento nella conclusione del contratto, inoltre, che una delle parti abbia interrotto le trattative, eludendo le ragionevoli aspettative dell’altra, la quale, avendo confidato nella conclusione finale del contratto, sia stata indotta a sostenere spese o a rinunciare ad occasioni più favorevoli, ed infine che il recesso sia stato determinato, se non da malafede, almeno da colpa, e non sia quindi assistito da un giusto motivo. La verifica circa la sussistenza di tali condizioni impone un accertamento di fatto, riservato, come tale, al giudice del merito, il cui apprezzamento è incensurabile in sede di legittimità se scevro da vizi di illogicità della motivazione». Rilievo sostanziale dunque è attribuito alle fasi delle trattative che devono essere in avanzato stato così da giustificare le “ragionevoli” aspettative dell’utente bancario di veder positivamente concluso il contratto. La Suprema Corte inoltre pone in particolare evidenza il fatto che «il recesso o la sospensione delle trattative, che provenga da soggetto privato o da una pubblica amministrazione, può essere causa di responsabilità precontrattuale quando sia privo di giustificato motivo, l’accertamento della cui sussistenza è riservato al giudice di merito ed è censurabile in cassazione per vizi logici o giuridici della motivazione». La motivazione dell’interruzione delle trattative deve essere rilevante, giustificato e provato. Infatti, sotto il profilo del riparto dell’onere probatorio, gli Ermellini evidenziano che «la responsabilità precontrattuale, derivante dalla violazione della regola di condotta posta dall’art. 1337 cod. civ. a tutela del corretto dipanarsi dell’iter formativo del negozio, costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, cui vanno applicate le relative regole in tema di distribuzione dell’onere della prova. Ne consegue che, qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati dal recesso ingiustificato di una parte, non grava su chi recede la prova che il proprio comportamento corrisponde ai canoni di buona fede e correttezza, ma incombe, viceversa, sull’altra parte l’onere di dimostrare che il recesso esula dai limiti della buona fede e correttezza postulati dalla norma de qua». In particolare, nel giudizio di merito relativo alla controversia sottoposta al vaglio di legittimità era stato accertato che tra la società ricorrente e la banca erano intercorse delle trattative e che le parti «a seguito di numerosi incontri, sia presso la filiale di Livorno sia presso uno studio notarile, arrivarono all’accordo per cui» la società ricorrente «acquistò cinque appartamenti (…), accollandosi il relativo mutuo (in sofferenza e di valore superiore a quello di mercato degli immobili compravenduti), a fronte di continue rassicurazioni dei funzionari, anche presenti alla stipulazione presso il notaio dell’atto pubblico di compravendita, in ordine alla erogazione del finanziamento richiesto (…) per la edificazione di un lotto di sua proprietà, e che invece, una volta perfezionatasi l’operazione immobiliare, la banca ha omesso senza giustificato motivo di concedere». Pertanto la Corte di Cassazione osserva che la Corte di Appello «nell’affermare che nessuna trattativa vera e propria era in essere con la banca e che….» la ricorrente «…..non avrebbe dovuto fare affidamento sulle rassicurazioni dei funzionari della stessa in ordine alla certezza della concessione del finanziamento, la corte di merito nell’impugnata sentenza ha invero disatteso i suindicati principi di diritto, omettendone la considerazione in relazione alle risultanze probatorie acquisite». In sostanza la Corte di Appello, secondo gli Ermellini «ha altresì disatteso il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, al fine della applicazione dell’art. 2049 cod. civ. in tema di responsabilità indiretta della banca ovvero dell’intermediario finanziario per i danni arrecati a terzi, è sufficiente l’accertamento di un rapporto di occasionalità necessaria tra fatto illecito del preposto ed esercizio delle mansioni affidategli, fatta salva l’evenienza per cui la condotta del cliente ovvero dell’investitore si configuri, se non come collusione, quanto meno come consapevole e fattiva acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore, con accertamento, in ordine ai connotati di anomalia del rapporto tra promotore ed investitore, che compete insindacabilmente al giudice di merito». Di conseguenza «nell’affermare che sussisterebbe < > della società odierna ricorrente in ordine alle rassicurazioni fornitele dai funzionari della banca, la corte di merito ha nell’impugnata sentenza invero disatteso i suindicati principi di diritto». La Cassazione poi ha accolto anche l’ulteriore motivo di impugnativa proposto dalla società ricorrente, relativo al mancato riconoscimento di danno derivante dalla illegittima segnalazione alla Centrale Rischi da parte dell’istituto bancario. Infatti, «premesso, che il danno all’immagine ed alla reputazione, in quanto costituente danno conseguenza, non può ritenersi sussistente in re ipsa, dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento, va osservato come questa Corte ha già avuto modo di sottolineare che il danno patrimoniale derivante da indebita segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia può essere provato dal danneggiato anche per presunzioni, potendo consistere, se imprenditore, nel peggioramento della sua affidabilità commerciale, essenziale pure per l’ottenimento e la conservazione dei finanziamenti, con lesione del diritto ad operare sul mercato secondo le regole della libera concorrenza, e, per qualsiasi altro soggetto, nella maggiore difficoltà nell’accesso al credito. Orbene, rimasto accertato nel giudizio di merito, da un lato, che la segnalazione era erronea ed è rimasta iscritta per un lungo lasso temporale, la corte di merito ha ritenuto non provato il danno, rendendo quindi una motivazione incongrua ed illogica, che trascura tali circostanze ed invero disattende i suindicati principi di diritto». In sostanza la Corte di legittimità ha ritenuto fondati i motivi proposti dalla società ricorrente, accolto il ricorso e cassato l’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze, che in diversa composizione dovrà procedere «a nuovo esame, facendo dei suindicati.. » princìpi «….applicazione». Quello che emerge dalla citata vicenda conferma ulteriormente il fatto che agli Istituti di credito è richiesto nello svolgimento della propria attività, un comportamento conforme ai generali principi di trasparenza, buona fede e correttezza, non solo in sede di esecuzione del contratto, ma anche nella fase pre-contrattuale, ossia durante le trattative. Si tratta, nella fattispecie ricordata, di un richiamo giurisprudenziale ma che trova fondatezza anche nella legislazione primaria degli intermediari finanziari: infatti l’art. 127 del D.lgs. n. 385/1983 obbliga le banche a comportarsi in conformità ai generali principi di trasparenza, buona fede e correttezza, non solo in sede di esecuzione del contratto, ma anche nella fase precedente, durante le trattative. Secondo i principi espressi dalla Suprema Corte e richiamati anche nell’ordinanza in commento, perché si configuri una responsabilità precontrattuale di cui all’art. 1337 c.c. è necessario che: • tra le parti sia in corso una trattativa • la trattativa sia giunte ad una fase di avanzamento tale da far insorgere nella parte che invoca l’altrui responsabilità il ragionevole affidamento sulla positiva conclusione del contratto • che la controparte a cui si eccepisce la responsabilità interrompa la trattativa senza un giustificato motivo Sussistendo queste circostanze il rimedio che potrà essere esperito nel caso della negata concessione del mutuo a seguito di una trattativa avanzata è il risarcimento del danno ex art. 1337 c.c., secondo i criteri stabiliti dagli artt. 1223, 2043 e 2056 codice civile. Diversamente, qualora la trattativa non sia giunta ad uno stadio di “affidamento”, la Banca può legittimamente non procedere oltre senza incorrere in alcuna responsabilità. * * * Cass.-Civ.-Sez.-III-25/09/2023-n.-27262
Autore: Dott. Ferronato Francesco 12 maggio 2021
In alcuni precedenti approfondimenti abbiamo analizzato le ragioni a seguito delle quali sono nate le “Guidelines on Loan Origination and Monitoring” che entreranno in vigore a partire dal prossimo giugno 2021. Nel successivo abbiamo cercato sinteticamente di comprendere quali saranno i principali effetti per poi delineare quali saranno con molta probabilità gli atteggiamenti che le Banche, in conseguenza dell’applicazione di queste nuove linee guida, assumeranno rispetto alla concessione e alla revisione del credito alle imprese. Dobbiamo considerare che la struttura delle “guide line”, come del resto tutta la normativa del Regolatore è costruita su architetture di tipo anglosassone che privilegiano “il principio” rispetto alla elencazione e alla casistica. Quindi le linee guida esprimono le indicazioni e le aspettative che il Regolatore si attende riguardo ai comportamenti e alle prassi che gli istituti bancari dovrebbero adottare in sede di concessione e monitoraggio del credito; non vi cioè è traccia di una “casistica”, di un elenco di caratteristiche che identificano i buoni o cattivi creditori. Vi sono piuttosto delineati dei principi che il Regolatore ritiene sia fondamentale che le Banche rispettino nella assunzione, gestione e monitoraggio del rischio di credito. E chiaro che questo insieme di regole così come lo sono state le precedenti in tema di Non Performing Loans – poi alla lunga incidono anche sui modelli di business e sui modelli operativi delle Banche: non potrebbe essere altrimenti. Ma in queste ultime (Guidelines on Loan Origination and Monitoring) il Regolatore sembra fare un passo in più: non solo dà indicazioni ma fa esplicito riferimento ad aree che implicano un maggior coinvolgimento interdisciplinare fra le diverse funzioni degli istituti bancari: mi riferisco ad esempio all’utilizzo della tecnologia per l’analisi del merito creditizio delle controparti (algoritmi) e per la valutazione delle garanzie, alla necessità di disporre di dati e delle relative infrastrutture per tutta la durata del ciclo di vita del credito, per finire poi alla necessità di costruire, disporre e gestire il profilo di rischio del credito declinato in ambito ESG (Environmental, Social and Governance). E’ comprensibile, sin da questi semplici e riduttivi accenni, che il Regolatore sta alzando, e di molto, l’asticella rispetto a quelle che sono le “capacità” del settore: in tema di Banche, soprattutto in Italia, disponiamo ancora una eterogeneità di soggetti, una varietà di genere che è stata nel tempo punto di forza e di debolezza per il sistema. La varietà di genere spazia dalle “grandi” banche, fino alle banche locali per approdare a quelle di credito cooperativo che, seppur unite ai Gruppi Bancari Cooperativi Nazionali, godono di autonomia operativa e di quella autonomia beneficiano così come beneficia il territorio dove loro operano. Il pensiero di dover operare con tecnologia e algoritmi nella generazione e poi durante il monitoraggio del credito potrà diventare “naturale” per le “grandi” banche abituate già da tempo a selezionare la clientela e a maneggiare credito e creditori compatibili (ed economicamente lucrativi) con tali approcci. Diversamente per il credito cooperativo che ad esempio può operare solo in territori di competenza limitati e con soggetti che chiedono, e possono ottenere, affidamenti di importi mediamente molto limitati (se perlomeno confrontati con quelli normalmente erogati dalle “grandi” banche) il cui costo di gestione risulterà molto più oneroso proprio per l’effetto della adozione di queste nuove regole. A ciò si aggiunge il contesto economico e l’andamento dei tassi che non è certo dei migliori. Forse una applicazione più ragionata o secondo un criterio di proporzionalità (che nella mente del Regolatore proprio non trova modo d’essere nemmeno nei termini di un minimo di accoglimento) avrebbe permesso di salvare sia il fine – una gestione più proattiva del credito in bonis – sia i mezzi – le banche e gli impieghi. Staremo a vedere. Certo è che il rapporto banca cliente sta mutando e muterà sempre più. Tornare indietro? Impossibile. Per questo risulterà sempre più importante il ruolo del consulente capace di mediare tra Banca e Cliente: un interprete tra due mondi che parlano ormai lingue diverse.
Autore: Dott. Ferronato Francesco 12 maggio 2021
Abbiamo visto in precedenza in quale contesto sono nate le “Guidelines on Loan Origination and Monitoring”. Con tale regolamentazione vengono introdotti standard rigorosi e prudenti che mirano a migliorare le prassi, i modelli di governance, i processi e i meccanismi in materia di concessione del credito ed in particolare della valutazione del merito creditizio. In data 30 Settembre 2019 si è conclusa la consultazione pubblica sul documento. La pubblicazione della versione definitiva delle Linee Guida era prevista per il mese di Dicembre 2019 e l’entrata in vigore delle stesse per la fine di Giugno 2020. Tuttavia, a fronte delle richieste inviate dalle Banche / associazioni di categoria (anche l’ABI ha inviato una serie di richieste di chiarimento, facendosi portavoce del sistema Italia) la pubblicazione della versione definitiva, e conseguentemente anche la data di entrata in vigore della stessa, è stata posticipata. In data 29 maggio, in piena pandemia, l’EBA ha pubblicato la versione finale delle citate Linee Guida, le cui previsioni normative si rivolgono a tutte le istituzioni finanziarie europee con principio di proporzionalità nell’applicazione dei requisiti secondo dimensione, natura, complessità e rischiosità delle stesse. Il contenuto ricalca nella sostanza quanto espresso nella versione Draft, a meno di qualche piccolo ritocco. La data di adozione e implementazione delle linee guida da parte delle Banche è stata fissata per la fine di Giugno 2021. Ciò nonostante, in considerazione anche delle attuali situazioni di emergenza legate alla pandemia Covid-19, l’EBA ha introdotto un regime transitorio (c.d. phased in) che prevede: • applicazione delle linee guida su nuovi finanziamenti dal 30 Giugno 2021; • applicazione su finanziamenti in stock sui quali sono concesse rinegoziazioni o modifiche contrattuali dal 30 Giugno 2022; • possibilità di adeguamento dei framework / infrastrutture di monitoraggio fino al 30 Giugno 2024. Per i finanziamenti verso enti creditizi, società di investimento, istituti finanziari, assicurazioni e banche centrali e stati sovrani (compresi governi centrali) si applicano solo alcuni criteri, non tutti, in particolare quelli che riguardano la governance e il monitoraggio del credito. Per le imprese significa che sui finanziamenti erogati ante 30 giugno 2021 le regole sono quelle conosciute a meno che tali linee non siano “rinegoziate” a partire dal 30 giugno 2022 nel qual caso varranno, nella rinegoziazione, i nuovi criteri. Il “nuovo credito” erogato a partire dal 30 giugno 2021 dovrà seguire le regole e i principi delle nuove linee guida. E’ probabile attendersi che le imprese fiaccate dalla pandemia e con contesti di mercato non ancora normalizzati si troveranno a doversi confrontare con regole molto più rigide e selettive che già in tempi normali avrebbero fatto selezione. Non si tratta di buone notizie insomma. Per il credito mala tempora currunt.
Autore: Dott. Ferronato Francesco 12 maggio 2021
In giugno 2021 entreranno in vigore le nuove regole EBA. Ci riguarda? Certo, assolutamente; ormai il settore bancario vive di regolamenti stabiliti a livello sovranazionale e l’EBA è uno dei principali e più fecondi “generatori” normativi a livello europeo. Dopo le crisi del 2008, nel quadro di vigilanza unica a livello europeo (Single Supervisory Mechanism), il Regolatore ha intensificato particolarmente la pressione normativa e l’attività ispettiva sul settore bancario. In particolare, ha pubblicato una serie di nuove normative e linee guida (Linee Guida sui NPL, Nuova Definizione di Default, Calendar Provisioning, etc.) con lo scopo di indirizzare progressivamente in modo rigido e strutturato le attività di asset quality review del settore bancario. A dire il vero inizialmente il Regolatore si è concentrato in particolare sulle criticità collegate agli elevati livelli di crediti deteriorati (Non Performing Loans), presenti nel sistema bancario in modo rilevante sopratutto in alcuni Paesi dell’Unione Europea tra cui l’Italia. L’indirizzo è chiaro: le banche devono cimentarsi in importanti percorsi di derisking (riduzione stock crediti deteriorati), sia attraverso l’affinamento di modelli di gestione dei Non Performing Loans che attraverso la realizzazione di operazioni straordinarie di cessione di crediti deteriorati. Grazie a queste azioni congiunte i livelli di crediti deteriorati di sistema si sono ridotti significativamente con l’NPL Ratio del settore bancario italiano – ovvero l’indicatore che misura il rapporto tra i crediti deteriorati e il totale dei crediti in essere – passato da un valore intorno al 20% tra il 2015 e il 2016 ad un valore inferiore al 8% a fine 2020. Tuttavia, è importante sottolineare che – nonostante gli importanti risultati raggiunti dalle banche nella riduzione dei NPL – la recente crisi dell’economia reale legata al Covid 19 porterà alla generazione di ulteriori stock di crediti non performing ad una velocità e per un volume sensibilmente maggiore di quello che in condizioni normali si riterrebbe fisiologico. La pandemia ha indotto il Regolatore a rivolgere la sua attenzione non più solo sulla massa dei NPL ma anche su quella dei crediti performing (cioè in bonis). E così l’interesse della Vigilanza si è spostato sulle modalità di erogazione e monitoraggio del credito, al fine di anticipare e prevenire la degenerazione della qualità del credito verso l’area del NPL. La nuova sfida proposta del Regolatore è quindi passare da un approccio «RE-active» (logica di gestione del «deteriorato in essere») a un approccio «PRO-active» della gestione del credito fin dalle primissime fasi di vita. E così nel mese di aprile 2019 la BCE ha richiesto alle principali Banche europee di fornire dati qualitativi sui portafogli dei crediti in bonis ((performing) sia in termini di stock che di nuovi volumi erogati, con l’obiettivo di analizzare la qualità e la rischiosità delle nuove erogazioni di credito e delle esposizioni in essere verificando tra i vari elementi la correlazione tra il pricing (tasso) e la rischiosità delle esposizioni creditizie. A distanza di un anno e più precisamente nel mese di giugno 2020 sono state comunicate alle banche le risultanze dell’analisi, che hanno evidenziato un crescente profilo di rischio dovuto in particolare a queste circostanze: • Aumento dei volumi dei prestiti alle famiglie correlato all’aumento dei prezzi degli immobili non proporzionale alla crescita dei redditi delle famiglie, con conseguente incremento della rischiosità delle esposizioni garantite da immobili residenziali; • Un modesto miglioramento nella qualità dei portafogli relativi al credito erogato alle imprese a fronte tuttavia di strutture di prestiti più rischiose e di riduzione degli spread sul pricing dovuto sia a fattori sistemici (calo euribor) sia ad una incrementata concorrenza; • conseguente disallineamento tra pricing e rischiosità intrinseca delle esposizioni creditizie. In tale contesto la European Banking Authority (EBA), in data 20 Giugno 2019, ha pubblicato una prima versione draft, in consultazione pubblica, delle “Guidelines on Loan Origination and Monitoring”. Questo documento fornisce raccomandazioni e best practice agli Istituti bancari in materia di concessione del credito con l'obiettivo di assicurare l'adozione di adeguati standard prudenziali e prevenire la generazione di nuovi crediti deteriorati in futuro, garantendo solidità e stabilità al sistema finanziario europeo. In sostanza danno indicazioni precise (e vincolanti) alle banche identificando chi, secondo quelle regole, sarà ancora meritevole di credito e chi no. Ecco perché conoscere in dettaglio il contenuto di tale documento è importante... continua a leggere ...
Autore: Dott. Ferronato Francesco 12 maggio 2021
Per un lungo periodo (fino al 2008 circa) si è ritenuto che per fare consulenza fossero indispensabili sempre gli stessi ingredienti: mettere a disposizione delle imprese, per periodi determinati, professionisti intelligenti e preparati capaci di dare risposte a problemi di varia natura. Si sono costruiti pertanto Studi e Associazioni professionali incentrati sulla specializzazione con strutture spesso imponenti in termini di costi fissi (a carico dei clienti ovviamente). Questo particolare modello di business della consulenza direzionale è rimasto pressoché immutato, finchè la prima “crisi sistemica” ha dato una prima scossa e lo ha fatto vacillare. Il resto è attualità. ….. A soccorrere tutto e tutti è arrivata la rivoluzione digitale con la sua democratizzazione dell’informazione profusa a piene mani attraverso rete e big data, con l’avvento di blog, canali e altri contenitori digitali aperti al confronto e alla condivisione di idee e progetti. A questa “tecnologia” si è aggiunta la pressione culturale dei nativi digitali “rottamatori” del modello e originario generando una nuova domanda che richiede un cambiamento dei fondamentali della consulenza: formulazione dell’offerta, contenuti ed esecuzione. Con la pandemia e le difficoltà dovute al distanziamento alcuni soluzioni e abitudini “classiche” sono venute necessariamente meno (si pensi agli appuntamenti in Studio o in Azienda) così che tutte le difficoltà che stiamo incontrando ci impongono di chiederci seriamente se il passaggio epocale che stiamo vivendo possa essere affrontato solo da coloro che hanno pensato e gestito il modello consulenziale attuale, tra cui mi ci metto pure io. Oppure (come ritengo) sia opportuno coinvolgere in modo più profondo e coinvolgente coloro che, padroneggiando le nuove tecnologie, possano proporre una nuova e diversa proposta di consulenza di supporto alla direzione aziendale. Lo scenario attuale è complicato non solo per i professionisti ma anche per l’impresa che mai come ora è “affamata” di consulenza qualificata (Direzionale) assetata di avere giusto supporto nell’identificazione di nuovi modelli di business, nuove vision, di declinare correttamente nuove mission, di aggiornare assetti organizzativi e via discorrendo. La domanda delle imprese, potenzialmente, è molto elevata e potrebbe far crescere in misura rilevante il mercato italiano della consulenza. Si tratta di un trend in corso da alcuni anni e che coinvolge in particolare le grandi imprese e le PMI, in misura minore le micro imprese come ci dice il rapporto Osservatorio 2020 di Assoconsult e che sembra sottolineare come l’innovazione oggi sia frenata dalla scarsa disponibilità di professionalità in grado di padroneggiare le nuove tecnologie e dalla resistenza al cambiamento, fattori viceversa in grado di far evolvere in modo significativo gli assett delle imprese. L’accelerazione è in corso, spinta anche dalle circostanze generate dalla pandemia che implicano un veloce cambio di passo, e dovrà essere sostenuta, appunto, da un nuovo modello di consulenza. La sfida è grande e richiede cambiamenti nell’offerta e un radicale piano di riorganizzazione e innovazione. Altrettanto ampi sono gli ambiti di intervento in aree come il controllo interno, la compliance, il risk management, la corporate governance, il passaggio inter-generazionale, per finire nell’ultimo (ma non meno importante) ambito della sicurezza IT. L’evoluzione richiede, anzitutto, di abbandonare il paradigma delle soluzioni preconfezionate: bisogna proporsi alla Direzione e all’Azienda come un partner di lungo periodo che sappia far comprendere al management le potenzialità delle tecnologie e lo accompagni nell’evoluzione dell’impresa. Per questo è necessario e ineluttabile selezionare la clientela e concentrarsi su un numero contenuto di clienti sui quali “investire” tanto quanto il cliente “investe” sulla nostra consulenza. Il consulente del futuro, per essere in grado di “governare” la complessità dovrà necessariamente avere oltre alle soft skill le competenze tecnologiche e verticali legate alla industry. Le soft skills le conosciamo già e tra le più richieste annoveriamo ad esempio il saper comunicare efficacemente, la capacità di lavorare in gruppo e in gruppi diversi contemporaneamente o in modo discontinuo, una sviluppata resistenza allo stress sapendo reagire alla pressione lavorativa e mantenendo il controllo senza perdere il focus sulle priorità lavorative senza trasmettere ad altri ansie e tensioni, e via discorrendo. In condizioni di normalità il Consulente aveva il tempo di “allenarsi” e di arrivare preparato alle sfide senza risultare inadeguato. Oggi, con i mutamenti in corso imposti dalla crisi e dalla pandemia, questi tempi si sono accorciati o, in taluni casi, del tutto azzerati così che non è infrequente provare sensazioni di inadeguatezza. Quali capacità potranno tornarci particolarmente utili? L’elencazione non è standardizzabile ma tant’è: • autonomia: ossia la capacità di svolgere i task assegnati senza il bisogno di una costante supervisione; • capacità di adattamento condizioni e contesti lavorativi nuovi e dinamici; • pianificare e organizzare: identificare obiettivi, priorità, sapere tener conto del tempo che si ha a disposizione e organizzare il lavoro con le risorse a disposizione; • precisione e attenzione ai dettagli: sapere curare i particolari è spesso la differenza fra un buon lavoro e uno eccellente; • tenersi aggiornati: individuare le proprie lacune e le personali aree di miglioramento per acquisire sempre più competenze. È importante mantenersi proattivi nell’apprendere e curiosi verso le novità che interessano il proprio settore e quello dei clienti (per questo motivo il numero dei clienti deve essere contenuto); • lavorare per obiettivi: impegno, capacità, sostanza e determinazione per raggiungere gli obiettivi assegnati e andare, quando e dove possibile, oltre; • gestire le informazioni: saper acquisire, organizzare e distribuire dati e conoscenze provenienti da altre fonti e persone; • intraprendenza: lo spirito di iniziativa e la proattività sono sempre caratteristiche apprezzate e preziose in un contesto relazionale con l’Imprenditore o la Direzione; • saper comunicare: saper trasmettere e condividere in modo chiaro e sintetico, magari in più lingue, idee e informazioni con i propri interlocutori, ma anche saper ascoltare ed essere disposti a confrontarsi in modo costruttivo. Questa abilità torna molto utile soprattutto quando si lavora in gruppo; • problem solving: capacità di non perdere il controllo davanti un problema inaspettato e avere la lucidità per intervenire e risolvere. Evitare di rispondere ad una domanda con un’altra domanda. L’approccio analitico e razionale ai problemi è particolarmente apprezzato; • una giusta dose di leadership: capacità di saper guidare, motivare e trascinare i componenti del proprio team verso gli obiettivi privilegiando l’autorevolezza al ruolo. A tutto questo, poi, bisognerà incorporare le competenze multidisciplinari nelle soluzioni tecnologiche più avanzate (robotica, process mining, big data analysis, workflow, blockchain,…) per offrire una consulenza adeguata e orientata alla fornitura di oggetti (moduli) funzionanti, quindi asset based. I giovani in questo senso sono e saranno essenziali, senza di loro nulla potrà essere. Bisognerà saperli attrarre offrendo loro un ambiente stimolante e innovativo e iniziare ad interagire con loro incorporando il fattore “esperienza” con il fattore “tecnologia” in una alchimia di equilibri imperfetti e che hanno poco o nulla del conosciuto. Una sfida tutta da costruire, ma dalla quale non potremo sottrarci. Questi argomenti ti interessano? Contattami liberamente
Autore: Dott. Ferronato Francesco 12 maggio 2021
Per una PMI, questi sono tempi duri: alla globalizzazione dei mercati e di conseguenza dei competitor si sono aggiunti gli effetti della crescente instabilità geo-politica (contrapposizione tra Cina e USA, la brexit e gli scricchiolii dell’istituzione UE) ancor oggi non risolti e per finire l’avvento della pandemia che ha messo in difficoltà un pianeta intero ed è di là dal potersi ritenere risolta. In questo marasma annaspano le nostre PMI, perlomeno quelle che popolano il distretto del Nordest che è quello a noi più conosciuto. Una delle domande più frequenti che mi vengono rivolte è quella se esistono delle modalità efficaci per competere in un momento difficile come questo per garantire futuro e slancio alle aziende di medio-piccole dimensioni. Esse sono obbiettivamente le più fragili ed esposte: combattono in contesti difficili ad armi im-pari con le altre (le grandi) che dispongono di mezzi e “cilindrate” ben più consistenti e per questo risultano, ovviamente, più resilienti. Tutto perduto? Non credo perché nel piccolo spesso alberga la flessibilità, la rapidità e una spiccata capacità di adattamento, in altri termini una innata capacità di sopravvivenza che talvolta addirittura è a tratti sbalorditiva. Provo a generalizzare confidando di non banalizzare: spesso si afferma che le Pmi in Italia soffrono di “nanismo” imprenditoriale e di capitale. E’ vero, ma sono le caratteristica peculiari della PMI senza le quali parleremo d’altro. Perciò ogni proposta non può prescindere dalla scarsità di tali risorse. E qui propongo il primo distinguo: quando si parla di risorse non mi riferisco alla semplice carenza di capitale o di finanza. Una delle risorse mancanti in molte aziende è la competenza umana che vada al di là di quella necessaria per realizzare il prodotto o il servizio che l’azienda immette nel mercato, competenza questa propria dell’imprenditore senza la quale non si va da nessuna parte. Mi riferisco piuttosto alla cronica mancanza di persone valide, efficaci, che possano curare e migliorare le performance di tutti gli altri pilastri che costituiscono l’ossatura dell’impresa ossia la finanza, l’organizzazione, le risorse umane, lo sviluppo commerciale etc. Ovviamente il problema con cui sono costrette a convivere le PMI è la costante necessità di disporre di risorse altamente qualificate con una capacità di spesa e investimento molto limitata. Si pensi ad esempio al ruolo del CFO (Chief Financial Officer): una figura fondamentale all’interno di un’azienda perché presiede e governa una componente vitale come la liquidità. Nelle aziende che “possono permetterselo” (solitamente quelle più dimensionate), è spesso il braccio destro della proprietà o dell’amministratore, opera a stretto contatto con loro e partecipa alle decisioni di vertice. Il CFO gestisce i flussi di cassa e gli equilibri della liquidità aziendale, cura le relazioni con le banche nei modi e nei tempi a loro più congeniali, partecipa alla pianificazione industriale e a quella degli investimenti (acquisto di macchinari, assunzioni, investimenti etc.). Un CFO esperto e strutturato costa, ma soprattutto in aziende di ridotte dimensioni, potrebbe non essere necessario con presenza quotidiana. La sua presenza in azienda, anche grazie soprattutto allo sviluppo delle connessioni tecnologiche, può essere ottimizzata, e invece di averlo (e pagarlo) sempre, si può valorizzare la sua presenza in modo frazionale. Un altro comparto molto importante l’azienda dove si può essere efficacemente adottato un approccio similare è quello del responsabile delle risorse umane. Immaginiamo un’azienda di 50/100 unità. La figura del responsabile delle risorse umane comincia ad essere opportuna non tanto in termini di adempimenti amministrativi, ma piuttosto per gestire tutti i percorsi di valutazione, di formazione, di incentivazione di cura e presidio dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo che nell’era del 4.0 sono vitali per restare competitivi. Anche in questo caso però c’è da chiedersi se un HR con elevate competenze sia necessario sempre oppure si possa frazionare la sua presenza. Un altro ambito assolutamente rilevante è quello ricoperto dal Marketing Manager o dal Responsabile Area Mercato con compiti di consolidare e sviluppare al tempo stesso la presenza nei segmenti di mercato più significativi e promuovere quelli più innovativi e d’avanguardia. Ad essi riconduco anche la figura, importantissima, del responsabile della comunicazione interna ed esterna che ha il compito di portare fuori dall’azienda l’immagine, lo stile, lo storytelling, l’appeal dei prodotti o del brand. Sono tutte figure il cui tempo può essere offerto non solo a tempo pieno (troppo costoso), ma anche frazionato (il termine frazionare deriva dall’inglese fractional che rappresenta una nuova visione dello sviluppo aziendale fondata sui principi del spendi per ciò che serve e risparmia ciò che puoi). E’ un approccio che comporta una disponibilità culturale anche da parte dell’imprenditore e della proprietà, che può risultare particolarmente efficace soprattutto in momenti come quelli odierni dove è necessario saper interpretare, con l’ausilio di professionalità adeguate, il business model aziendale, gli assetti finanziari o le potenzialità umane dell’azienda, insomma tutte quelle variabili che fanno la differenza tra un’impresa e una impresa di successo. Questi argomenti ti interessano? Contattami liberamente
Se il “post” è inutile non si ricordano di te
Autore: Dott. Ferronato Francesco 8 marzo 2021
Se il “post” è inutile non si ricordano di te...
Autore: Dott. Ferronato Francesco 29 dicembre 2020
Empatia, cura, flessibilità e attenzione al capitale umano: questi gli strumenti principali nelle mani delle imprese per garantire una vera ripartenza dell’Italia. Se la pandemia ha avuto effetti devastanti sul mercato del lavoro, ha anche permesso di ripensare all’importanza e al potenziamento delle competenze che sono in continua evoluzione. È l’assenza di tecnologia, in realtà, che crea disoccupazione. Se guardiamo all’indicatore della densità robotica (che rappresenta il numero di robot installati per abitanti in un determinato Paese), le quattro nazioni con la densità robotica maggiore (Singapore, Corea del Sud, Giappone e Germania) sono i Paesi a più bassa disoccupazione nel mondo. Quindi non sono i robot che “rubano” il lavoro, almeno i numeri dicono questo.
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