Autore: Ferronato Francesco
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20 ottobre 2023
Un recente intervento della Suprema Corte (ordinanza n. 27692 del 25.09.2023) riporta l’attenzione su di una fattispecie che si verifica spesso tra gli utenti bancari e finanziari, ossia la mancata stipula senza un giustificato motivo di un contratto di finanziamento da parte dell’istituto di credito, nonostante le trattative tra le parti siano giunte ad uno stadio avanzato. Nella specie, i giudici di legittimità si sono pronunciati riguardo le censure mosse ad un provvedimento della Corte d’Appello di Firenze che aveva confermato integralmente la sentenza con cui il Tribunale di Livorno aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta nei confronti della Banca «per la prospettata responsabilità precontrattuale per la mancata stipula di un contratto di mutuo, nonostante le trattative fossero giunte ad uno stadio avanzato, sia per la prospettata responsabilità extracontrattuale da errata segnalazione in Centrale rischi, che aveva precluso alla società attrice ulteriori finanziamenti bancari». Accoglie il ricorso dell’utente bancario la Sprema Corte dando concreta applicazione, anche nell’ambito dei rapporti bancari, al principio generale stabilito dall’art. 1337 c.c., il quale dispone che «le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede». Nell’ordinanza vengono richiamati i principi (già tra l’altro espressi in precedenti pronunce) per i quali «la responsabilità precontrattuale per violazione dell’art. 1337 cod. civ. presuppone anzitutto che tra le parti siano intercorse trattative giunte ad uno stadio tale da giustificare oggettivamente l’affidamento nella conclusione del contratto, inoltre, che una delle parti abbia interrotto le trattative, eludendo le ragionevoli aspettative dell’altra, la quale, avendo confidato nella conclusione finale del contratto, sia stata indotta a sostenere spese o a rinunciare ad occasioni più favorevoli, ed infine che il recesso sia stato determinato, se non da malafede, almeno da colpa, e non sia quindi assistito da un giusto motivo. La verifica circa la sussistenza di tali condizioni impone un accertamento di fatto, riservato, come tale, al giudice del merito, il cui apprezzamento è incensurabile in sede di legittimità se scevro da vizi di illogicità della motivazione». Rilievo sostanziale dunque è attribuito alle fasi delle trattative che devono essere in avanzato stato così da giustificare le “ragionevoli” aspettative dell’utente bancario di veder positivamente concluso il contratto. La Suprema Corte inoltre pone in particolare evidenza il fatto che «il recesso o la sospensione delle trattative, che provenga da soggetto privato o da una pubblica amministrazione, può essere causa di responsabilità precontrattuale quando sia privo di giustificato motivo, l’accertamento della cui sussistenza è riservato al giudice di merito ed è censurabile in cassazione per vizi logici o giuridici della motivazione». La motivazione dell’interruzione delle trattative deve essere rilevante, giustificato e provato. Infatti, sotto il profilo del riparto dell’onere probatorio, gli Ermellini evidenziano che «la responsabilità precontrattuale, derivante dalla violazione della regola di condotta posta dall’art. 1337 cod. civ. a tutela del corretto dipanarsi dell’iter formativo del negozio, costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, cui vanno applicate le relative regole in tema di distribuzione dell’onere della prova. Ne consegue che, qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati dal recesso ingiustificato di una parte, non grava su chi recede la prova che il proprio comportamento corrisponde ai canoni di buona fede e correttezza, ma incombe, viceversa, sull’altra parte l’onere di dimostrare che il recesso esula dai limiti della buona fede e correttezza postulati dalla norma de qua». In particolare, nel giudizio di merito relativo alla controversia sottoposta al vaglio di legittimità era stato accertato che tra la società ricorrente e la banca erano intercorse delle trattative e che le parti «a seguito di numerosi incontri, sia presso la filiale di Livorno sia presso uno studio notarile, arrivarono all’accordo per cui» la società ricorrente «acquistò cinque appartamenti (…), accollandosi il relativo mutuo (in sofferenza e di valore superiore a quello di mercato degli immobili compravenduti), a fronte di continue rassicurazioni dei funzionari, anche presenti alla stipulazione presso il notaio dell’atto pubblico di compravendita, in ordine alla erogazione del finanziamento richiesto (…) per la edificazione di un lotto di sua proprietà, e che invece, una volta perfezionatasi l’operazione immobiliare, la banca ha omesso senza giustificato motivo di concedere». Pertanto la Corte di Cassazione osserva che la Corte di Appello «nell’affermare che nessuna trattativa vera e propria era in essere con la banca e che….» la ricorrente «…..non avrebbe dovuto fare affidamento sulle rassicurazioni dei funzionari della stessa in ordine alla certezza della concessione del finanziamento, la corte di merito nell’impugnata sentenza ha invero disatteso i suindicati principi di diritto, omettendone la considerazione in relazione alle risultanze probatorie acquisite». In sostanza la Corte di Appello, secondo gli Ermellini «ha altresì disatteso il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, al fine della applicazione dell’art. 2049 cod. civ. in tema di responsabilità indiretta della banca ovvero dell’intermediario finanziario per i danni arrecati a terzi, è sufficiente l’accertamento di un rapporto di occasionalità necessaria tra fatto illecito del preposto ed esercizio delle mansioni affidategli, fatta salva l’evenienza per cui la condotta del cliente ovvero dell’investitore si configuri, se non come collusione, quanto meno come consapevole e fattiva acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore, con accertamento, in ordine ai connotati di anomalia del rapporto tra promotore ed investitore, che compete insindacabilmente al giudice di merito». Di conseguenza «nell’affermare che sussisterebbe < > della società odierna ricorrente in ordine alle rassicurazioni fornitele dai funzionari della banca, la corte di merito ha nell’impugnata sentenza invero disatteso i suindicati principi di diritto». La Cassazione poi ha accolto anche l’ulteriore motivo di impugnativa proposto dalla società ricorrente, relativo al mancato riconoscimento di danno derivante dalla illegittima segnalazione alla Centrale Rischi da parte dell’istituto bancario. Infatti, «premesso, che il danno all’immagine ed alla reputazione, in quanto costituente danno conseguenza, non può ritenersi sussistente in re ipsa, dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento, va osservato come questa Corte ha già avuto modo di sottolineare che il danno patrimoniale derivante da indebita segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia può essere provato dal danneggiato anche per presunzioni, potendo consistere, se imprenditore, nel peggioramento della sua affidabilità commerciale, essenziale pure per l’ottenimento e la conservazione dei finanziamenti, con lesione del diritto ad operare sul mercato secondo le regole della libera concorrenza, e, per qualsiasi altro soggetto, nella maggiore difficoltà nell’accesso al credito. Orbene, rimasto accertato nel giudizio di merito, da un lato, che la segnalazione era erronea ed è rimasta iscritta per un lungo lasso temporale, la corte di merito ha ritenuto non provato il danno, rendendo quindi una motivazione incongrua ed illogica, che trascura tali circostanze ed invero disattende i suindicati principi di diritto». In sostanza la Corte di legittimità ha ritenuto fondati i motivi proposti dalla società ricorrente, accolto il ricorso e cassato l’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze, che in diversa composizione dovrà procedere «a nuovo esame, facendo dei suindicati.. » princìpi «….applicazione». Quello che emerge dalla citata vicenda conferma ulteriormente il fatto che agli Istituti di credito è richiesto nello svolgimento della propria attività, un comportamento conforme ai generali principi di trasparenza, buona fede e correttezza, non solo in sede di esecuzione del contratto, ma anche nella fase pre-contrattuale, ossia durante le trattative. Si tratta, nella fattispecie ricordata, di un richiamo giurisprudenziale ma che trova fondatezza anche nella legislazione primaria degli intermediari finanziari: infatti l’art. 127 del D.lgs. n. 385/1983 obbliga le banche a comportarsi in conformità ai generali principi di trasparenza, buona fede e correttezza, non solo in sede di esecuzione del contratto, ma anche nella fase precedente, durante le trattative. Secondo i principi espressi dalla Suprema Corte e richiamati anche nell’ordinanza in commento, perché si configuri una responsabilità precontrattuale di cui all’art. 1337 c.c. è necessario che: • tra le parti sia in corso una trattativa • la trattativa sia giunte ad una fase di avanzamento tale da far insorgere nella parte che invoca l’altrui responsabilità il ragionevole affidamento sulla positiva conclusione del contratto • che la controparte a cui si eccepisce la responsabilità interrompa la trattativa senza un giustificato motivo Sussistendo queste circostanze il rimedio che potrà essere esperito nel caso della negata concessione del mutuo a seguito di una trattativa avanzata è il risarcimento del danno ex art. 1337 c.c., secondo i criteri stabiliti dagli artt. 1223, 2043 e 2056 codice civile. Diversamente, qualora la trattativa non sia giunta ad uno stadio di “affidamento”, la Banca può legittimamente non procedere oltre senza incorrere in alcuna responsabilità. * * * Cass.-Civ.-Sez.-III-25/09/2023-n.-27262