Per un lungo periodo (fino al 2008 circa) si è ritenuto che per fare consulenza fossero indispensabili sempre gli stessi ingredienti: mettere a disposizione delle imprese, per periodi determinati, professionisti intelligenti e preparati capaci di dare risposte a problemi di varia natura. Si sono costruiti pertanto Studi e Associazioni professionali incentrati sulla specializzazione con strutture spesso imponenti in termini di costi fissi (a carico dei clienti ovviamente). Questo particolare modello di business della consulenza direzionale è rimasto pressoché immutato, finchè la prima “crisi sistemica” ha dato una prima scossa e lo ha fatto vacillare. Il resto è attualità. …..
A soccorrere tutto e tutti è arrivata la rivoluzione digitale con la sua democratizzazione dell’informazione profusa a piene mani attraverso rete e big data, con l’avvento di blog, canali e altri contenitori digitali aperti al confronto e alla condivisione di idee e progetti.
A questa “tecnologia” si è aggiunta la pressione culturale dei nativi digitali “rottamatori” del modello e originario generando una nuova domanda che richiede un cambiamento dei fondamentali della consulenza: formulazione dell’offerta, contenuti ed esecuzione.
Con la pandemia e le difficoltà dovute al distanziamento alcuni soluzioni e abitudini “classiche” sono venute necessariamente meno (si pensi agli appuntamenti in Studio o in Azienda) così che tutte le difficoltà che stiamo incontrando ci impongono di chiederci seriamente se il passaggio epocale che stiamo vivendo possa essere affrontato solo da coloro che hanno pensato e gestito il modello consulenziale attuale, tra cui mi ci metto pure io. Oppure (come ritengo) sia opportuno coinvolgere in modo più profondo e coinvolgente coloro che, padroneggiando le nuove tecnologie, possano proporre una nuova e diversa proposta di consulenza di supporto alla direzione aziendale.
Lo scenario attuale è complicato non solo per i professionisti ma anche per l’impresa che mai come ora è “affamata” di consulenza qualificata (Direzionale) assetata di avere giusto supporto nell’identificazione di nuovi modelli di business, nuove vision, di declinare correttamente nuove mission, di aggiornare assetti organizzativi e via discorrendo.
La domanda delle imprese, potenzialmente, è molto elevata e potrebbe far crescere in misura rilevante il mercato italiano della consulenza. Si tratta di un trend in corso da alcuni anni e che coinvolge in particolare le grandi imprese e le PMI, in misura minore le micro imprese come ci dice il rapporto Osservatorio 2020 di Assoconsult e che sembra sottolineare come l’innovazione oggi sia frenata dalla scarsa disponibilità di professionalità in grado di padroneggiare le nuove tecnologie e dalla resistenza al cambiamento, fattori viceversa in grado di far evolvere in modo significativo gli assett delle imprese. L’accelerazione è in corso, spinta anche dalle circostanze generate dalla pandemia che implicano un veloce cambio di passo, e dovrà essere sostenuta, appunto, da un nuovo modello di consulenza.
La sfida è grande e richiede cambiamenti nell’offerta e un radicale piano di riorganizzazione e innovazione. Altrettanto ampi sono gli ambiti di intervento in aree come il controllo interno, la compliance, il risk management, la corporate governance, il passaggio inter-generazionale, per finire nell’ultimo (ma non meno importante) ambito della sicurezza IT.
L’evoluzione richiede, anzitutto, di abbandonare il paradigma delle soluzioni preconfezionate: bisogna proporsi alla Direzione e all’Azienda come un partner di lungo periodo che sappia far comprendere al management le potenzialità delle tecnologie e lo accompagni nell’evoluzione dell’impresa. Per questo è necessario e ineluttabile selezionare la clientela e concentrarsi su un numero contenuto di clienti sui quali “investire” tanto quanto il cliente “investe” sulla nostra consulenza.
Il consulente del futuro, per essere in grado di “governare” la complessità dovrà necessariamente avere oltre alle soft skill le competenze tecnologiche e verticali legate alla industry.
Le soft skills le conosciamo già e tra le più richieste annoveriamo ad esempio il saper comunicare efficacemente, la capacità di lavorare in gruppo e in gruppi diversi contemporaneamente o in modo discontinuo, una sviluppata resistenza allo stress sapendo reagire alla pressione lavorativa e mantenendo il controllo senza perdere il focus sulle priorità lavorative senza trasmettere ad altri ansie e tensioni, e via discorrendo.
In condizioni di normalità il Consulente aveva il tempo di “allenarsi” e di arrivare preparato alle sfide senza risultare inadeguato. Oggi, con i mutamenti in corso imposti dalla crisi e dalla pandemia, questi tempi si sono accorciati o, in taluni casi, del tutto azzerati così che non è infrequente provare sensazioni di inadeguatezza. Quali capacità potranno tornarci particolarmente utili? L’elencazione non è standardizzabile ma tant’è:
• autonomia: ossia la capacità di svolgere i task assegnati senza il bisogno di una costante supervisione;
• capacità di adattamento condizioni e contesti lavorativi nuovi e dinamici;
• pianificare e organizzare: identificare obiettivi, priorità, sapere tener conto del tempo che si ha a disposizione e organizzare il lavoro con le risorse a disposizione;
• precisione e attenzione ai dettagli: sapere curare i particolari è spesso la differenza fra un buon lavoro e uno eccellente;
• tenersi aggiornati: individuare le proprie lacune e le personali aree di miglioramento per acquisire sempre più competenze. È importante mantenersi proattivi nell’apprendere e curiosi verso le novità che interessano il proprio settore e quello dei clienti (per questo motivo il numero dei clienti deve essere contenuto);
• lavorare per obiettivi: impegno, capacità, sostanza e determinazione per raggiungere gli obiettivi assegnati e andare, quando e dove possibile, oltre;
• gestire le informazioni: saper acquisire, organizzare e distribuire dati e conoscenze provenienti da altre fonti e persone;
• intraprendenza: lo spirito di iniziativa e la proattività sono sempre caratteristiche apprezzate e preziose in un contesto relazionale con l’Imprenditore o la Direzione;
• saper comunicare: saper trasmettere e condividere in modo chiaro e sintetico, magari in più lingue, idee e informazioni con i propri interlocutori, ma anche saper ascoltare ed essere disposti a confrontarsi in modo costruttivo. Questa abilità torna molto utile soprattutto quando si lavora in gruppo;
• problem solving: capacità di non perdere il controllo davanti un problema inaspettato e avere la lucidità per intervenire e risolvere. Evitare di rispondere ad una domanda con un’altra domanda. L’approccio analitico e razionale ai problemi è particolarmente apprezzato;
• una giusta dose di leadership: capacità di saper guidare, motivare e trascinare i componenti del proprio team verso gli obiettivi privilegiando l’autorevolezza al ruolo.
A tutto questo, poi, bisognerà incorporare le competenze multidisciplinari nelle soluzioni tecnologiche più avanzate (robotica, process mining, big data analysis, workflow, blockchain,…) per offrire una consulenza adeguata e orientata alla fornitura di oggetti (moduli) funzionanti, quindi asset based. I giovani in questo senso sono e saranno essenziali, senza di loro nulla potrà essere. Bisognerà saperli attrarre offrendo loro un ambiente stimolante e innovativo e iniziare ad interagire con loro incorporando il fattore “esperienza” con il fattore “tecnologia” in una alchimia di equilibri imperfetti e che hanno poco o nulla del conosciuto.
Una sfida tutta da costruire, ma dalla quale non potremo sottrarci.
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