Se il “post” è inutile non si ricordano di te...
Talvolta le occasioni di attesa ti regalano incontri gratuiti con persone di grande spessore capaci di aprirti la mente. E’ quello che mi è accaduto quando ho incontrato in una sala d’aspetto uno psicologo che da anni si occupa a livello accademico di dinamiche di comunicazione. Così, senza volerlo, mi sono ritrovato in viaggio nel mondo dei social, delle loro regole e dei loro princìpi, partendo dal principale: se si vuole appartenere al mondo, è necessario essere social, e per esserlo un imperativo è comunicare. Si, ma come farlo efficacemente? Basta scorrere le varie piattaforme per comprendere che ce n’é per tutti i gusti: contenuti frivoli, leziosi, seri, accademici, provocatori, privi di senso, utili, pratici, divertenti, intrisi di odio o straboccanti di idiozia. Creare contenuti è il modo migliore per intercettare un pubblico che sia disponibile ad ascoltarci. Attraverso l’attenzione generata dal “post”, gettiamo i semi di una “relazione comunicativa” in chi trae beneficio dal valore di ciò che condividiamo. Comunicare è in fondo il mettere a disposizione degli altri ciò che sappiamo, manifestare il pensiero, creare consapevolezza, persino indurre un processo decisionale.
Chi comunica si sente di esistere, chi non lo fa si sente un po’ escluso e quest’esclusione in qualche modo pesa. Così leggo il successo di strumenti social come facebook o whatsapp e le loro pagine o i gruppi che si scambiano in modo virale e con sequenze infinite messaggi di auguri, di buona giornata, domenica o settimana. In questo caso, a mio avviso, sembra che l’importante non sia il contenuto ma il gesto stesso del comunicare: inoltro, copio e incollo, invio ……….. ergo sum.
Diversa è la comunicazione in altri ambiti: mi riferisco a quella in piattaforme come Linkedin o Telegram utilizzate spesso anche in abito professionale. In questi “ambienti” qualunque appassionato frequentatore ha potuto misurare, anche nell’arco di un breve periodo di tempo, l’efficacia di ogni tipologia di comunicazione. In questi casi il confine tra comunicazione e divulgazione è più labile e forse per questo motivo la qualità della selezione è decisamente più marcata. Il fine ultimo, per cui realizziamo i contenuti, serve ad ottenere un duplice effetto: ottenere l’attenzione del pubblico e, nel tempo, guadagnarne l’interesse. L’attenzione può essere effimera, l’interesse è sicuramente un qualche cosa di più articolato e complesso, sia da ottenere che da mantenere. Il passaggio dall’attenzione (effimera) all’interesse (duraturo) è riconducibile alla qualità dei contenuti che vengono proposti e pubblicati.
Il contenuto assume quindi un ruolo importante, direi esiziale: prendere l’immagine di un giornale e semplicemente inoltrarla con due righe di introduzione, può sicuramente stimolare un’attenzione (effimera) ma sicuramente non un interesse (duraturo) perché è chiaro, già nel gesto stesso di limitarsi al inoltrare, che l’interesse sicuramente si colloca sul contenuto inoltrato e non su colui che lo ha inoltrato. Una sottigliezza? Mica tanto perché dipende quello che si intende ottenere. Se l’intenzione è quello di promuoversi, di essere seguito, di risultare interessante allora l’atteggiamento (di inoltrare) non è quello giusto, anzi è l’esatto contrario.
Più interessante, e per questo più efficace, è invece comunque e sempre “aggiungere” qualcosa di proprio: utilizzare l’articolo, l’immagine o un reply come innesco per una azione comunicativa che lasci un proprio contributo (assertivo o non assertivo che sia) , che lasci una traccia , insomma che rappresenti una nostra impronta che può piacere come no, non importa, ma che sia comunque nostra, che sia caratterizzante.
Scopro d’incanto che quasi sempre non riesco a gestire al massimo la potenzialità della mia comunicazione social. Comincio tuttavia a comprenderne le ragioni e mi interessa approfondire. Scopro che spesso è attraverso il tipo di comunicazione che pratichiamo che generiamo maggiore o minore propensione al contatto, alla fiducia e al coinvolgimento e all’interesse. C’è un’efficacia proporzionale in base al tipo di risposte che riusciamo a produrre nei confronti del nostro “pubblico”. Mi dice che sono quattro i “bisogni” a cui generalmente si risponde con la comunicazione:
1. Fornire risposte – si tratta del contenuto più semplice e quello che attiva la maggior parte del pubblico. Le persone generalmente sono alla ricerca di una soluzione o di informazioni. Questo tipo di pubblico è il più vasto ma anche il meno assiduo; una volta ottenuta la risposta alla propria esigenza è meno portato a ricordarsi dell’autore come fonte della soluzione.
2. Elargire insegnamenti – se la risposta generica è ottima per catturare un pubblico vasto tuttavia è nella costruzione di percorsi di approfondimento che si può ottenere la vera attenzione del pubblico. In questo caso, mi dice, chi è interessato a questo contenuto più approfondito, sarà molto probabilmente più propenso a ricordarsi anche dell’autore che lo ha reso fruibile.
3. Provocare emozioni – è un tipo di comunicazione molto diretta, spesso schierata, talvolta anche ripetitiva nelle sue componenti costitutive e fondamentali. MI fa notare che dopo aver seguito per un certo tempo il profilo di un “comunicatore” si riesce a comprenderne con una certa facilità il relativo “stile” arrivando a prevederne anche contenuti e modalità di intervento. Un po’ alla volta lo si conosce, anche se solo attraverso i social, e lo si riconosce. Le emozioni, sopratutto se trasmesse con forza, sanno farsi ricordare e permettono, a chi è in grado di suscitarle, di stabilire un legame emotivo con chi le prova.
4. Essere fonte di ispirazione - Questo tipo di comunicazione è sicuramente il più complesso da realizzare ma quando ci si riesce si raccolgono due grandi risultati. Il primo è essere considerati leader in quel determinato ambito (si guadagna in reputation). Il secondo è decisamente più impegnativo: proprio perché si è “considerati” si influisce sull’attenzione sugli orientamenti delle persone che si lasciano con fiducia coinvolgere. Perché ciò accada è necessario aver costruito nel tempo la “credibilità”, aver creato un seguito (follower) sufficiente che condivida, alimenti e sostenga le tesi esposte.
Come tutti i viaggi che si rispettino, anche questo è giunto velocemente al capolinea. Neanche il tempo di salutarci, se non quell’attimo per scambiarci un arrivederci……..su Linkedin naturalmente.
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